Quando prescrivo degli esercizi ai pazienti, espongo loro sempre una riflessione sulla natura e fisiologia umana. L’uomo in quanto essere vivente, in assenza di una società del benessere e delle comodità come quella attuale, in natura dovrebbe mantenersi in movimento per procacciarsi il cibo, fuggire dai predatori, adattarsi ai fattori climatici, al pari degli altri animali. Nella società attuale stiamo spesso fermi in unica posizione per 8 ore o più a lavoro, il cibo lo troviamo comodamente al supermercato raggiungibile in auto, non dobbiamo fuggire per la sopravvivenza né spostarci per evitare le intemperie.
Il nostro corpo, i nostri tessuti e tutti i nostri sistemi di funzionamento dell’organismo hanno bisogno di movimento per mantenere uno stato di benessere. In assenza di occasioni e stimoli che portino il sistema muscolo-scheletrico e cardio-polmonare in sovraccarico, l’esercizio fisico rimane l’unica arma per sopperire a tale mancanza. L’essere umano attuale, infatti, pur possedendo maggiori conoscenze e organizzazione sociale, è pressoché invariato dal punto di vista biologico e fisiologico rispetto al suo antenato cacciatore-raccoglitore.
L’esercizio fisico garantisce numerosi benefici, tra cui il rinforzo dell’apparato muscolare e scheletrico, il miglioramento delle abilità di movimento, la riduzione della pressione arteriosa, la prevenzione di malattie metaboliche/cardiovascolari/neoplastiche e dell’artrosi, la modulazione dei livelli glicemici e del colesterolo nel sangue, la riduzione del tessuto adiposo in eccesso, il miglioramento del tono dell’umore con riduzione dei sintomi d’ansia, dello stress e della depressione.
Creando uno stress sull’organismo permette l’abbassamento delle risposte al dolore: tale fenomeno è conosciuto come “stress-induced-analgesia”, che in termini di esercizio fisico può essere modificato in “exercise-induced-analgesia”.
L’ipoalgesia (riduzione delle risposte al dolore) avviene tramite l’attivazione del sistema endogeno degli oppioidi (endorfine) durante l’esercizio fisico, un potenziale meccanismo di interazione neuro-endocrina tra i sistemi modulatori del dolore e cardiovascolari e l’attivazione del sistema di modulazione discendente attraverso la liberazione di mediatori oppioidi come encefaline, noradrenalina, serotonina, dopamina.
L’esercizio terapeutico consiste in un programma riabilitativo basato sull’esercizio fisico, adattato e dosato sul singolo paziente, in base alla natura della sua problematica, ai meccanismi del dolore coinvolti nel sintomo, alle capacità fisiche e allo stile di vita del paziente.
L’esercizio permette, attraverso un carico allenante, di indurre delle modifiche graduali nei tessuti, che permetteranno l’adattamento allo stimolo fornito. Per tale motivo gli esercizi verranno modificati su mia indicazione e in accordo con il paziente durante il percorso riabilitativo, modificandone tipologia e parametri (ripetizioni/serie): un carico precedentemente allenante dopo qualche settimana potrebbe essere troppo ridotto per indurre ulteriori miglioramenti.
La gestione avviene su una continua valutazione del rapporto carico/capacità di carico, con il carico fornito necessariamente un po’ superiore alla capacità di carico per poter essere allenante. Il non rispetto della posologia dell’esercizio terapeutico potrebbe essere controproducente, sia nel caso il carico fosse troppo basso che in quello in cui fosse eccessivo.
Per tali ragioni l’esercizio terapeutico garantisce un effetto a lungo termine e andrebbe sempre abbinato all’iniziale trattamento manuale. L’esercizio non solo permette la riduzione dei sintomi e il recupero/miglioramento della funzionalità, ma previene future recidive dei disturbi.
Il recupero graduale del movimento permette di affrontare e superare le paure che possono essersi instaurate nel paziente. La kinesiofobia (paura intensa e irrazionale nell’esecuzione di un movimento dovuta ad una sensazione di vulnerabilità rispetto ad un episodio doloroso o a un re-infortunio) e il conseguente Fear Avoidance Belief (pensiero da evitamento del movimento per paura) sono due meccanismi molto frequenti nelle persone che presentano dolore persistente (cronico). È solo attraverso il recupero graduale del movimento e l’abbattimento delle aspettative negative del paziente che si riesce ad interrompere questi meccanismi svantaggiosi.
Ai miei pazienti spiego sempre che è impossibile raggiungere questo obiettivo stando fermi distesi sul lettino: in tal modo non si abbatte nessuna aspettativa, ma anzi si alimenta la percezione che il dolore debba passare per un intervento esterno a se stessi.
Ecco allora che l’esercizio terapeutico permette il raggiungimento della self efficacy (autoefficacia, percezione del paziente di potercela fare).